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“QUI NON RACCONTI FAVOLE!” È finita l’epoca in cui i politici potevano riscrivere la storia senza contraddittorio. Del Debbio ha messo spalle al muro Beatrice Lorenzin, smontando pezzo per pezzo la narrazione degli ultimi anni. Dati alla mano e sguardo di ghiaccio, il conduttore ha costretto l’ex ministro a un confronto umiliante sulle misure che hanno segnato la vita di tutti noi.

“QUI NON RACCONTI FAVOLE!” È finita l’epoca in cui i politici potevano riscrivere la storia senza contraddittorio. Del Debbio ha messo spalle al muro Beatrice Lorenzin, smontando pezzo per pezzo la narrazione degli ultimi anni. Dati alla mano e sguardo di ghiaccio, il conduttore ha costretto l’ex ministro a un confronto umiliante sulle misure che hanno segnato la vita di tutti noi.

kavilhoang
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Nello studio di “Dritto e Rovescio”, l’aria si è fatta improvvisamente pesante, carica di un’elettricità statica che preannunciava la tempesta. Non è stata una semplice intervista, né il consueto scambio di battute tra conduttore e politico a cui la televisione italiana ci ha abituati. Quello andato in scena tra Paolo Del Debbio e Beatrice Lorenzin è stato un vero e proprio scontro di civiltà, un “redde rationem” che milioni di italiani aspettavano da tempo. La televisione, spesso accusata di essere un palcoscenico per recite preconfezionate, questa volta ha mostrato il volto crudo della realtà, smascherando tentativi di revisionismo storico che non trovano più terreno fertile.

Paolo Del Debbio non è nuovo a confronti serrati. Il suo stile, diretto e privo di fronzoli, è il marchio di fabbrica che lo ha reso un punto di riferimento per quella fetta di pubblico stanca del “politichese”. Ma contro Beatrice Lorenzin, ex Ministro della Salute e volto simbolo di una stagione politica segnata da restrizioni e decisioni controverse, il conduttore ha superato se stesso. L’obiettivo non era semplicemente fare audience, ma ristabilire un principio di verità.

Quando la Lorenzin ha tentato di difendere le sue posizioni passate, utilizzando il solito copione difensivo – “abbiamo seguito la scienza”, “le decisioni erano necessarie” – ha trovato di fronte a sé non un interlocutore compiacente, ma un muro di cemento armato. Del Debbio, con la freddezza di chi ha i fatti dalla sua parte, ha iniziato a sgretolare la narrazione dell’ex ministro. “Ministra, mi spiega allora perché gli stessi scienziati che citava due anni fa, oggi dicono che quelle misure erano esagerate?” ha incalzato il conduttore. Una domanda semplice, letale, che ha fatto calare il gelo in studio.

È stato in quel preciso istante che la sicurezza della Lorenzin ha iniziato a vacillare. Di fronte all’evidenza che i dati odierni smentiscono molte delle certezze granitiche di ieri, l’ex ministro ha cercato rifugio nella contestualizzazione, affermando che le decisioni vanno giudicate con i dati del momento. Una risposta tecnicamente ineccepibile, forse, ma politicamente ed emotivamente vuota di fronte a un pubblico che quelle decisioni le ha subite sulla propria pelle.

Il mormorio del pubblico in studio, inizialmente sommesso, è diventato un rumore di fondo impossibile da ignorare. La gente non dimentica. E Del Debbio, sintonizzato perfettamente sulla frequenza del suo pubblico, ha affondato il colpo: “Lei continua a difendere scelte che la realtà ha smentito. Non crede che sarebbe più onesto riconoscerlo?”. Qui non si trattava più di politica sanitaria, ma di onestà intellettuale.

Ma il vero punto di svolta, il momento che ha trasformato un dibattito acceso in un evento televisivo storico, è arrivato quando Del Debbio ha rispolverato una delle frasi più iconiche e divisive pronunciate dalla Lorenzin: “Senza il Green Pass si muore”. Una dichiarazione che all’epoca risuonò come un imperativo categorico, una sentenza di vita o di morte che non ammetteva repliche.

Riascoltarla oggi, alla luce di tutto ciò che sappiamo, ha avuto un effetto devastante. Del Debbio l’ha guardata dritta negli occhi, chiedendole conto di quelle parole. La reazione della Lorenzin è stata da manuale della comunicazione di crisi mal gestita: una risata nervosa, un tentativo goffo di minimizzare. “Sa, era un momento particolare, si cercava di sensibilizzare…”, ha balbettato.

La risposta di Del Debbio è stata fulminea, un taglio netto che ha interrotto ogni via di fuga: “No aspetti, sensibilizzare va bene, ma una bugia è un’altra storia”. In questa frase c’è tutto il senso del giornalismo che non fa sconti: la distinzione netta tra la persuasione politica e la verità fattuale. Non si può giustificare la menzogna con la necessità del momento.

Se le parole di Del Debbio sono state taglienti, la reazione dello studio è stata la vera sentenza. I fischi sono piovuti copiosi, un suono sgradevole per qualsiasi politico, ma in questo caso rappresentavano qualcosa di più profondo: la rottura del patto di fiducia. La Lorenzin ha perso la calma, provando a sovrastare il dissenso, ma ormai il danno era fatto. La sua credibilità, in quel contesto, era stata ridotta ai minimi termini.

Quel suono di disapprovazione non era solo rivolto a lei come persona, ma a un intero metodo di gestione del potere che ha trattato i cittadini come sudditi da “sensibilizzare” anche a costo di forzare la verità. Il pubblico di “Dritto e Rovescio” si è fatto portavoce di un sentimento diffuso: la richiesta di accountability, ovvero la responsabilità di rendere conto delle proprie azioni passate senza nascondersi dietro il dito del “contesto”.

Ciò che è accaduto tra Del Debbio e la Lorenzin non è “televisione spazzatura” o semplice spettacolo. È un segnale dei tempi. Per troppo tempo, figure pubbliche hanno potuto dire e disfare, lanciare anatemi e previsioni catastrofiche, per poi passare all’argomento successivo come se nulla fosse accaduto. Questo meccanismo di amnesia collettiva indotta sembra essersi inceppato.

Il video di questo scontro è diventato virale non perché la gente ami vedere qualcuno in difficoltà, ma perché c’è una sete inesausta di coerenza. Vedere un giornalista che non lascia passare la “favola”, che blocca la narrazione preconfezionata e costringe l’interlocutore a guardare in faccia la realtà, ha un valore catartico.

La lezione che ne esce è chiara: il tempo delle bugie “a fin di bene” è finito. La cittadinanza è più attenta, più critica e, grazie anche a spazi di informazione che non temono lo scontro, più capace di distinguere tra chi cerca di riscrivere la storia e chi invece chiede semplicemente rispetto per la verità. Beatrice Lorenzin è uscita dallo studio con le ossa rotte metaforicamente, ma è la politica intera che dovrebbe prendere appunti: non si può più contare sulla memoria corta degli italiani.