L’uomo ghigliottinato pubblicamente per l’ultima volta in Francia: 10.000 persone assistono all’esecuzione di Eugen Weidmann, uno spettacolo macabro che costrinse la legge francese a cambiare (AVVERTIMENTO SUL CONTENUTO: descrizione esplicita di esecuzione e violenza)

All’alba del 17 giugno 1939, mentre l’ombra della Seconda Guerra Mondiale incombeva sull’Europa, a Versailles si verificò un evento che sembrava locale, ma ebbe conseguenze nazionali.
Di fronte a una folla enorme stimata in più di diecimila persone, la ghigliottina tagliò la testa di Eugen Weidmann, rendendola l’ultima esecuzione pubblica della storia francese.

Questo gesto meccanico, preciso e brutale metterebbe fine a un dibattito secolare sul posto dello spettacolo nella giustizia, rivelando il profondo disagio di una società che guardava un uomo morire come si guarda un palcoscenico teatrale.
Eugen Weidmann non era un criminale qualunque. Nato nel 1908 a Francoforte, sviluppò molto presto un’attrazione per l’illegalità. Durante la sua adolescenza, le prigioni tedesche divennero per lui luoghi familiari. La Francia, dove si stabilì negli anni ’30, fu teatro dei suoi crimini più clamorosi.
Con i suoi complici immaginava un modus operandi fatto di manipolazioni calcolate: promesse di lavoro, proposte commerciali, incontri apparentemente innocui. Le sue vittime – una ballerina americana, un agente immobiliare, un’infermiera – furono attirate, derubate e poi giustiziate con una pallottola alla testa.
La sua mancanza di rimorso alimentò la stampa sensazionalista, che dipinse l’immagine di lui come un mostro freddo dagli occhi ipnotici.

Il processo, aperto nel marzo 1939, divenne uno dei più seguiti del periodo tra le due guerre. Non era solo un momento legale: era un fenomeno sociale. I giornali pubblicavano titoli su ogni dettaglio, dal suo comportamento impassibile alla sua presunta passione per l’omicidio.
Il pubblico accorreva in corte come se si assistesse ad una prima teatrale. I cronisti descrissero le sue espressioni, i suoi silenzi, i suoi sguardi enigmatici. Fascino e repulsione si mescolavano, come se cercassimo nel suo volto l’incarnazione di tutte le paure di un mondo che stava cambiando troppo velocemente.
Quando fu pronunciata la sentenza – morte per decapitazione – sembrò, ad alcuni, una conclusione logica. Per altri, un sanguinoso arcaismo. La ghigliottina, simbolo della Rivoluzione ma anche di un passato doloroso, ha risvegliato memorie collettive che pensavamo finite.
Nonostante ciò, l’annuncio di un’esecuzione pubblica suscitò inizialmente poca indignazione. Al contrario, ha suscitato una curiosità crescente, alimentata dai media.

La notte prima dell’esecuzione, nella prigione si era creata un’atmosfera festosa. Si formarono dei gruppi che discutevano sia del criminale che di una star. I venditori ambulanti offrivano cibo e bevande. Siamo venuti con la famiglia, a volte con bambini.
Lo spettacolo della morte divenne una sorta di tradizione, un misto di orrore e intrattenimento popolare. Alcuni avevano portato macchine fotografiche. Altri hanno dei quaderni, pronti per annotare le loro impressioni. Quando finalmente Weidmann apparve, circondato dalle guardie, la folla tacque. Si creò una tensione quasi palpabile.
Poi la lama scese, veloce e implacabile.
Il silenzio durò un secondo, forse due, prima che la folla impazzisse. Urla, applausi, scoppi di risate, commenti grotteschi: la scena assunse un carattere caotico. Testimoni hanno riferito che alcuni sono corsi verso il sangue che ancora scorreva, cercando di toccare il terreno inzuppato.
Una donna è svenuta, altre erano esultanti. Quello che doveva essere un atto di giustizia assunse l’aspetto di una celebrazione barbarica. Circolavano fotografie clandestine. Per la prima volta nella storia, il volto decapitato di un condannato è apparso sulla prima pagina di un giornale straniero.
Il governo francese, scioccato da questa reazione collettiva, ha capito di aver oltrepassato un limite morale. Il presidente Albert Lebrun ha immediatamente ordinato che non avessero più luogo esecuzioni davanti al pubblico. La decisione è stata rapida, quasi affrettata, segno che lo Stato aveva misurato la portata del malessere.
La giustizia non poteva permettersi di diventare uno spettacolo in cui la miseria umana viene consumata come intrattenimento.
L’esecuzione di Weidmann segna un tournant. La pena di morte, pur essendo ancora legale, entrò progressivamente in un dibattito filosofico e politico che culminò nel 1981 con la sua abolizione. Il ricordo di quest’ultima ghigliottina pubblica ha tormentato le discussioni per decenni.
Le immagini delle folle euforiche divennero l’argomento principale degli abolizionisti. La domanda cessò di essere semplicemente: “Può un uomo uccidere un altro uomo in nome della legge?” » e divenne: «Che razza di società applaude quando cadono le teste?»
Oggi l’episodio del giugno 1939 serve a ricordarlo. Ci costringe a mettere in discussione il confine tra giustizia e vendetta, tra legge e barbarie. Rivela la fragilità morale di una società affascinata dalla propria violenza.
Testimonia anche la capacità del diritto francese di trasformarsi, non in reazione a un crimine, ma in reazione alla propria immagine riflessa nello specchio crudo della folla.
La storia di Weidmann non è solo quella di un criminale giustiziato. È quella di un Paese che si è scoperto, in pochi minuti, spettatore di ciò che odiava diventare.
E quel giorno, la Francia ha deciso di distogliere lo sguardo, non per dimenticare, ma per imparare a smettere di guardare la morte.