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“L’ANIMA DI GERALT È SCOMPARSA!” — Andrzej Sapkowski critica duramente The Witcher di Netflix, sostenendo che a Liam Hemsworth manca l’essenza che ha reso storica l’interpretazione di Henry Cavill.

“L’ANIMA DI GERALT È SCOMPARSA!” — Andrzej Sapkowski critica duramente The Witcher di Netflix, sostenendo che a Liam Hemsworth manca l’essenza che ha reso storica l’interpretazione di Henry Cavill.

kavilhoang
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In un’intervista rilasciata ieri a un quotidiano polacco, Andrzej Sapkowski, il creatore dell’universo di The Witcher, ha lanciato un j’accuse senza precedenti contro l’adattamento Netflix della sua saga letteraria. Lo scrittore, che ha visto la sua opera trasformarsi in un fenomeno globale grazie ai romanzi, ai videogiochi di CD Projekt RED e ora alla serie televisiva, non ha risparmiato critiche alla quarta stagione, appena sbarcata sulla piattaforma di streaming. Al centro del suo sfogo, il passaggio di testimone da Henry Cavill a Liam Hemsworth nel ruolo del cacciatore di mostri Geralt di Rivia. “L’anima di Geralt è scomparsa”, ha tuonato Sapkowski, sostenendo che l’australiano Hemsworth manchi completamente dell’essenza cinica, tormentata e profondamente umana che Cavill aveva infuso nel personaggio, rendendolo iconico per milioni di fan.

Sapkowski, oggi 77enne, ha sempre mantenuto un rapporto ambivalente con le trasposizioni della sua opera. I libri, pubblicati a partire dal 1993, dipingono un mondo fantasy dark e realistico, dove la magia si intreccia con la politica corrotta, il razzismo e le lotte di potere nel Continente. Geralt non è un eroe tradizionale: è un mutante solitario, un witcher che uccide mostri per denaro, ma che porta con sé un codice morale complesso, forgiato da un’infanzia crudele e da un destino segnato dal fato. Quando Netflix annunciò la serie nel 2019, Sapkowski espresse scetticismo, ma l’ingresso di Henry Cavill cambiò le carte in tavola. L’attore britannico, fan sfegatato dei libri e dei giochi, si immerse nel ruolo con una dedizione ossessiva: imparò il polacco per pronunciare correttamente i nomi, consultò l’autore per dettagli minuti e infuse in Geralt un misto di vulnerabilità e forza brutale che catturò l’immaginario collettivo. Le prime tre stagioni, pur con le loro libertà narrative rispetto ai testi originali, beneficiarono di questa interpretazione magistrale, che trasformò The Witcher in un successo da 1,5 miliardi di ore di visione globali.

Ma il 2022 portò la bomba: Cavill annunciò il suo addio alla fine della terza stagione, citando divergenze creative con la showrunner Lauren Schmidt Hissrich. Si parlò di un desiderio di fedeltà maggiore ai libri, che la produzione non volle accogliere del tutto. Netflix optò per Liam Hemsworth, fratello minore di Chris e noto per Hunger Games, come sostituto. La notizia scatenò un putiferio tra i fan, che videro nel cambio un affronto all’integrità del personaggio. Sapkowski, che aveva già criticato aspramente i videogiochi per aver “rovinato” la sua visione originale – arrivando a dire che un elemento chiave della trama di The Witcher 3 era basato su un suo “errore” narrativo – ha aspettato l’uscita della quarta stagione per esprimere il suo verdetto. “Cavill aveva catturato l’essenza di Geralt: quel grugnito rauco, quegli occhi gialli pieni di dolore antico, quella stanchezza esistenziale che lo rendeva più di un semplice spadaccino. Hemsworth? Sembra un modello in armatura. Manca il fuoco interiore, manca l’anima polacca, manca quel senso di tragedia che ho infuso nei miei personaggi”, ha dichiarato lo scrittore, con il suo tipico sarcasmo tagliente.

Le reazioni alla nuova stagione, disponibile dal 30 ottobre, confermano le parole di Sapkowski. La critica è stata impietosa: The Guardian ha descritto l’interpretazione di Hemsworth come “carismatica quanto un palo con parrucca”, lamentando un tono “selvaggiamente irregolare” che mescola epicità da Game of Thrones a cliché da serie anni ’90. Radio Times ha parlato di “assenza palpabile di Cavill in ogni scena”, con dialoghi deboli e una produzione che sembra aver perso la bussola. HobbyConsolas ha definito gli episodi “noiosi”, con scelte narrative discutibili e una chimica nulla tra i personaggi, nonostante l’arrivo di Laurence Fishburne nel ruolo di un misterioso stregone. Anche i numeri non mentono: i dati preliminari di Netflix indicano un calo del 25% nelle ore di visione rispetto alla terza stagione, con petizioni online che chiedono il ritorno di Cavill o addirittura la cancellazione della serie.

I fan, divisi come sempre, si sono scatenati sui social. Molti, fedeli ai libri, lodano Hemsworth per essere “più vicino alla descrizione di Sapkowski”: snello, meno ipertrofico di Cavill, con una voce più morbida che evoca il Geralt letterario, meno muscoloso e più riflessivo. “Come lettrice dei libri, Hemsworth è perfetto: non quel superuomo hollywoodiano, ma un uomo spezzato dal mondo”, scrive un’utente su X. Altri, però, sono in lutto: “Geralt senza Cavill è come Aragorn senza Viggo Mortensen. L’anima è andata”, tuona un altro. La showrunner Hissrich ha risposto al backlash difendendo la scelta: “Nessuno sta togliendo i libri o i giochi a nessuno. Stiamo raccontando una storia diversa, ma radicata nell’universo di Sapkowski. Hemsworth porta calma e profondità”. Eppure, le sue parole suonano come un’ammissione: la serie ha deviato troppo dal source material, proprio il motivo che spinse Cavill fuori dalla porta.

Sapkowski non si ferma qui. Nell’intervista, ha rivelato di essere al lavoro su un nuovo romanzo della saga, il primo dopo anni di silenzio, e ha promesso che “ritornerà alle origini, senza compromessi con Hollywood”. Una stoccata velata a Netflix, che ha già confermato la quinta e ultima stagione, basata sugli ultimi tre libri: Il battesimo del fuoco, La torre della rondine e La signora del lago. Ma con Hemsworth al timone e le critiche che piovono, il futuro appare incerto. La production designer ha ammesso che la transizione è stata “difficile”, con set ridotti e un budget sotto pressione dopo il calo di ascolti. E mentre i fan speculano su un possibile cameo di Cavill – magari in un sogno o un flashback – Sapkowski chiude con una sentenza lapidaria: “The Witcher è mio. Netflix l’ha preso in prestito, ma non capisce il suo cuore. Geralt non è un action hero: è un lamento contro il mondo”.

Questa controversia riaccende il dibattito eterno tra fedeltà all’originale e libertà artistica. Sapkowski, che ha venduto milioni di copie ma ha sempre snobbato i diritti audiovisivi iniziali (per poi pentirsene), rappresenta la voce pura della letteratura fantasy. La sua critica non è solo un attacco personale a Hemsworth, ma un monito: alterare l’essenza di un personaggio significa tradirne l’autore. Mentre la quarta stagione accumula recensioni tiepide – un 7/10 da IGN, che la definisce “decente ma senza scintille” – il mondo di The Witcher sembra aver perso un po’ della sua magia. Hemsworth, in un’intervista recente, ha confessato: “Se non fossi un fan, non mi sarei unito. Ma so che non posso essere Cavill”. Parole umili, ma insufficienti a placare lo spirito di un Geralt che, per Sapkowski, vive solo tra le pagine dei suoi libri.

In fondo, questa è la lezione del witcher: il mostro più grande non è fuori, ma dentro, quando si perde l’anima. E oggi, quel mostro sembra aver vinto una battaglia.