L’ESECUZIONE MEDIANTE LA GHIGLIOTTINA DI DUE INFERMIERE NAZISTE: I CRIMINI DEL GELATO DI HILDE WERNICKE E HELENE WIECZOREK A OBRAWALDE E I 18.000 “PAZIENTI” CHE CANCELLANO DALL’ESISTENZA(Contenuti estremamente sensibili – solo per scopi storici, educativi e di memoria)

Nell’Europa devastata rimasta dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando le rovine ancora bruciavano e i tribunali alleati cominciavano a portare alla luce la verità sui crimini del Terzo Reich, due donne divennero il simbolo di un’atrocità meno conosciuta ma non per questo meno brutale: l’omicidio sistematico di malati di mente e di persone ritenute “indegne di vita”.
Si chiamavano Hilde Wernicke e Helene Wieczorek, e il luogo del loro orrore era l’ospedale psichiatrico di Meseritz-Obrawalde, oggi Obrzyce, in Polonia.
Obrawalde non era un campo di sterminio con filo spinato e torri di guardia. Era qualcosa, se possibile, di più sinistro: un ospedale trasformato in una fabbrica della morte.
Tra il 1940 e il 1945, mentre la macchina nazista perfezionava il genocidio in tutta Europa, questo centro psichiatrico fu trasformato in uno dei cosiddetti siti di “eutanasia selvaggia”, estensioni non ufficiali del programma Aktion T4, progettato per eliminare coloro che il regime etichettava come un peso biologico per la nazione tedesca.

Il programma di morte “misericordiosa”.
L’Aktion T4, iniziata ufficialmente nel 1939, mirava a porre fine alla vita delle persone con disabilità fisiche, mentali o psichiatriche. Anche se il programma venne sospeso pubblicamente nel 1941 a seguito delle pressioni sociali e religiose, gli omicidi non cessarono. Semplicemente sono andati sottoterra.
Obrawalde era uno di quei luoghi dove la morte continuava senza firma né decreto.
Si stima che più di 18.000 pazienti, per lo più donne, bambini e pazienti psichiatrici, siano morti lì a causa di iniezioni letali, overdose di farmaci, fame deliberata e negligenza medica. Non furono omicidi rapidi o indolori.
Testimonianze successive descrissero agonia prolungata, corpi debilitati fino all’estremo e assoluta indifferenza da parte del personale sanitario.
Hilde e Helene: autori in camice bianco

Hilde Wernicke, nata nel 1910, era medico e ricopriva una posizione di autorità nell’ospedale. Helene Wieczorek, nata nel 1908, lavorava come infermiera. Entrambi erano elementi chiave del meccanismo di morte di Obrawalde.
Secondo le indagini successive, Wernicke selezionò le vittime e somministrò personalmente le iniezioni fatali, mentre Wieczorek assistette nelle procedure e contribuì a nascondere le morti come “cause naturali”.
Le giustificazioni ideologiche erano quelle consuete del regime: “igiene razziale”, “compassione”, “eutanasia”. Ma i resoconti dei sopravvissuti e degli ex dipendenti hanno rivelato qualcosa di più oscuro.
Pazienti che supplicavano per la propria vita, ridicolo e disprezzo da parte del personale e una routine di omicidi che aveva perso ogni parvenza di “misericordia”.
Invece di medici e infermieri, Obrawalde era piena di carnefici.
La fine della guerra e l’inizio della giustizia

Dopo la sconfitta della Germania nazista nel 1945, le forze alleate iniziarono a indagare sui crimini commessi negli ospedali, nelle carceri e nei centri di sterminio. Obrawalde non tardò a venire alla luce. Le autorità sovietiche, che controllavano la zona, arrestarono numerosi membri del personale.
Alla fine quattordici dipendenti furono condannati per il loro coinvolgimento diretto negli omicidi.
Il processo a Wernicke e Wieczorek si svolse a Berlino, nella zona di occupazione sovietica. Durante le udienze sono state sfilate testimonianze devastanti: descrizioni di iniezioni dimorfina-scopolaminache provocarono morti lente e dolorose, obitori pieni di cadaveri e documenti falsificati per nascondere l’entità del massacro.
Entrambe le donne furono giudicate colpevolicrimini contro l’umanità. La corte non ha accettato la scusa della dovuta obbedienza o dell’ideologia come circostanza attenuante. Avevano ucciso consapevolmente, ripetutamente e sistematicamente.
La ghigliottina: il simbolo finale
Il 15 gennaio 1947, Hilde Wernicke, 36 anni, e Helene Wieczorek, 38 anni, furono giustiziate con ghigliottina a Berlino. La scelta del metodo non è stata casuale. La ghigliottina era stata ampiamente utilizzata dallo stesso regime nazista per eliminare gli oppositori politici e i “nemici dello Stato”.
Ora, quello stesso strumento è stato rivolto contro coloro che avevano fedelmente servito l’ideologia della morte.
Le loro esecuzioni sono tra i pochi casi documentati di donne naziste condannate a morte dopo la guerra. Per molti contemporanei simboleggiavano una forma di giustizia poetica: coloro che avevano somministrato la morte con una siringa ora affrontavano una morte imposta dallo Stato che servivano.
Memoria, non morbilità
Ricordare i crimini di Obrawalde non ha lo scopo di glorificare la violenza o indulgere in una punizione. La sua importanza sta nell’onorare le vittime, migliaia di persone i cui nomi sono andati perduti in archivi falsificati e fosse comuni.
Serve anche a sfatare il mito secondo cui le atrocità naziste furono opera esclusiva di uomini armati o fanatici visibili. Anche donne con formazione medica, investite di autorità e fiducia, erano attive perpetratrici.
La storia di Wernicke e Wieczorek ci costringe a riflettere sui pericoli di un’ideologia che disumanizza, che fa della medicina un’arma e dell’obbedienza una scusa morale. Ci ricorda che il male può vestirsi di normalità, di camice bianco e di linguaggio tecnico.
Oggi, quando evochiamo Obrawalde, non celebriamo la caduta di due criminali, ma commemoriamo piuttosto le decine di migliaia di vite stroncate in nome di una falsa “misericordia”. La memoria è una forma di giustizia che non prescrive.
Solo ricordando possiamo riconoscere i segni ed evitare che la storia si ripeta.